Internazionalizzazione per le imprese manifatturiere: strategie, finanziamenti SIMEST e nuove rotte digitali
- Riccardo Italiano
- 5 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 giu
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo cambiamento nei paradigmi dell’industria italiana. Le imprese manifatturiere, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni, si trovano oggi davanti a un bivio: da un lato l’incertezza del mercato interno, con costi energetici crescenti e una domanda sempre più volatile; dall’altro, l’opportunità di affacciarsi su mercati esteri che chiedono esattamente ciò che l’Italia sa offrire meglio: qualità, design, competenze produttive.

Internazionalizzare non è mai stato semplice, ma oggi è più accessibile di quanto si pensi. In parte grazie a strumenti pubblici pensati per accompagnare le imprese in questo percorso. In parte per la diffusione di nuovi canali digitali che permettono di testare mercati e vendere prodotti anche senza strutture fisiche all’estero.
Dalla volontà alla possibilità
Per un’impresa manifatturiera, decidere di vendere all’estero significa affrontare una serie di interrogativi concreti: a chi vendo? con che struttura? con quali garanzie di pagamento? in quale lingua e con quali costi?Spesso è proprio qui che ci si ferma, per mancanza di strumenti, visione o esperienza. Ma oggi questi limiti possono essere superati, a condizione di avere un progetto chiaro e costruito con criterio.
Un esempio concreto? I finanziamenti SIMEST. Si tratta di strumenti messi a disposizione delle imprese italiane dal Gruppo CDP, pensati proprio per sostenere l’internazionalizzazione in ogni sua fase, dalla partecipazione a una fiera di settore fino alla costituzione di una presenza commerciale stabile in un nuovo mercato.
Cosa finanzia SIMEST (e perché è rilevante)
Per le imprese manifatturiere, SIMEST rappresenta una leva decisiva. Le misure più utilizzate coprono l’inserimento commerciale nei mercati esteri, la partecipazione a fiere e mostre, lo sviluppo di piattaforme e-commerce internazionali, e persino l’adeguamento ecologico e digitale dei prodotti destinati all’estero.
Si tratta di finanziamenti a tasso agevolato, con una parte — spesso il 10% o il 25% — a fondo perduto. Il progetto può essere strutturato anche senza avere già una sede estera operativa, e l’accesso è previsto anche per chi lavora in modalità conto terzi o in white label.
L’alternativa digitale: vendere all’estero anche senza essere presenti
Un altro aspetto interessante è l’uso dei marketplace B2B internazionali. Piattaforme come Faire, Ankorstore, Abound, Orderchamp o Alibaba permettono oggi alle aziende italiane di caricare il proprio catalogo prodotti e vendere a rivenditori esteri, anche senza costituire una filiale.
Molti di questi canali sono integrati con servizi di logistica e pagamento, e rappresentano un primo passo verso l’internazionalizzazione con costi contenuti e rischi minimi. Soprattutto, consentono di testare mercati prima di fare investimenti strutturati.
Questi strumenti digitali non sono in alternativa ai percorsi classici, ma possono rappresentare un ponte di ingresso intelligente: un modo per raccogliere feedback, validare la propria proposta commerciale, costruire relazioni. E anche queste spese sono finanziabili con i fondi SIMEST.
Un cambio di mentalità, non solo di mercato
Internazionalizzare, oggi, è prima di tutto una questione di approccio. Serve metodo, serve struttura, ma soprattutto serve consapevolezza che i mercati esteri possono essere raggiunti anche senza snaturare la propria impresa.
Una manifattura che resta italiana ma guarda fuori. Che mantiene il suo carattere produttivo e identitario, ma lo proietta su altri contesti culturali ed economici. Che integra strumenti pubblici, supporto consulenziale e nuovi canali digitali in un percorso su misura.



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